domenica 1 marzo 2020

Mito e rito

Mito e rito
Mito e rito entrano nei boschi di pioppi  tremuli, nei laghi orlati di salici,   nelle mareggiate. E leggendo certe   pagine lawrenciane ci prende lo stesso sgomento,  grandioso, cosmico, che ci tocca quando  su un prato battuto dal vento di un’isola  del Nord un cromlech ci appare, uno   di quei cerchi di pietre seminascosti   tra i fiori giallini e i fili d’erba, testimonianza che lì qualcuno ha saputo specchiare  l’universo e venerarne le forze.     Chi non ha visto Poseidone, non conosce  il mare. 
Chi non ha mai visto le Amadriadi,   le Oreadi, le Naiadi almeno una volta   non conosce gli alberi, né i castagni   dei boschi né i tigli dei viali di   città, e non sa che cosa siano le montagne,   quelle che precipitano rocciose tra   i pini e quelle dei ghiacci perenni, né  i corsi d’acqua, il torrente tormentato  dai rovi e dagli scogli e l’amplio fluire  del fiume.     
Un segno mitico dà forma alla natura   e crea il legame tra la sua essenza   e la nostra: senza mito, essa diviene   quell’informe scenario, quel grande   magazzino da cui la nostra civiltà   si è approvvigionata senza amore e senza  venerazione per secoli, lasciando   soltanto la poesia a riparare, e dar   rifugio agli dèi in esilio.   
Con la morte di Pan, con la cacciata   di Priapo dagli orti, delle Ninfe dalle  foreste, di Artemide dalla luna e di   Apollo dal sole, la natura perde la   sua forza vivente, fatta di luci, di   profumi, di colori, di sapori, di panico,  di esultanza, di bellezza. Gli alberi  diventano soltanto alberi, le pietre   soltanto pietre, le onde soltanto   onde. Allora la natura non ci parla   più, le energie viventi della terra,   del mare, del cielo non hanno più forma  né nome. Allora i cervi, i salmoni,   le allodole sono davvero in pericolo.    
Ma se ritorna il mito, ritornano l’anima  e l’incanto; se ritorna Pan, porta   con sé tutte le altre divinità della  natura. Quando Pan è vivo, ci dice   James Hillman, allora anche la natura  lo è. Così noi udiamo la notte sui rami  di un pino lo stridio di una. civetta,  e sappiamo che è Atena, vediamo un mattino   sulla riva del mare un guscio di conchiglia e   diciamo: è Afrodite. 
Giuseppe Conte
Il passaggio di Ermes
Riflessioni sul mito
Ponte alle Grazie, 1999, Milano
Pagine 62-63