Noi ci troviamo oggi
in una situazione morale singolarmente incerta: straniati dalla nostra antica
patria, dagli altari dei nostri padri, siamo alla ricerca di una nuova terra,
poveri e ricchi nello stesso tempo. Dobbiamo affliggerci per quello che abbiamo
perduto, e cosa non abbiamo perduto, dobbiamo augurarci che lontano ci attenda
ciò che non ha nome e che non è stato sperimentato?
Ma siamo poi
abbastanza staccati, abbastanza liberi per poter intraprendere il volo? Non
siamo gravati dagli orpelli dei templi che abbiamo abbandonato delusi? I nostri
cuori non sono ancora tenacemente legati agli antichi Dei?
Una sinistra
sensazione rende esitanti i nostri movimenti. Da qualunque parte volgiamo lo
sguardo, non una prospettiva serena. Tutto ciò che vi era di più grande e di
più degno di venerazione sprofonda in frantumi davanti ai nostri occhi che
interrogano. Da millenni ci balenano possibilità su possibilità; e noi le
prendiamo in mano una dopo l’altra, facciamo i difficoltosi, ce ne
entusiasmiamo per un po’ e le deponiamo dicendo: « non sei tu ». Siamo forse
arrivati al termine? Dov’è scomparsa la gioia creatrice dei tempi antichi? Noi
non sorridiamo dei loro idoli perché abbiamo conosciuto qualche cosa di meglio;
il nostro riso è triste. Nessuna fiamma
è balenata in noi.
E tuttavia sentiamo
che qualche cosa sta accadendo in noi. Nell’oscura profondità vi è un lavorio
creativo, che una volta o l’altra dovrà prorompere. Non vi è ancora il lampo
negli occhi, il brivido di gioia, l’amoroso riconoscimento, il consapevole
sorriso che rende nostra una cosa tra tutte le altre: è indifferente se essa
sia nuova o antichissima, è nuova in ogni caso perché è nostra. Diventiamo
impazienti, ma dobbiamo sapere che ogni evento decisivo è demonico e ha la sua
ora.
In tutti gli occhi arde l’aspettazione. Ed è meglio dell’impostura magniloquente che il tesoro sia già stato scavato e occorra solo ridurlo in moneta spicciola. Il tono predicatorio con cui oggi tanti parlano e poetano rivela la profonda miseria che si nasconde sotto l’enfasi. Noi non ci lasciamo traviare. La nostra Venere è già nata dalla spuma del mare. Ma non siamo ancora stati toccati dal suo sorriso, ancora non è venuto il momento per l’antichissima e sempre nuova parola d’amore: « tu sei mia ».
dall'introduzione
Walter
Friedrich Otto
Spirito
Classico e mondo cristiano
La nuova italia Editrice, 1973, Firenze