La ricerca del Dio Penn
Le divinità montane - Immagini di pietra che risalgono a 3000 anni fa - Il «cerchio di
Annibale», un cromlech di circa 4000 anni - La scomparsa degli antichi dèi.
Chi recandosi in montagna non si è sentito affascinato dalla grandiosità dei paesaggi, dal silenzio profondo che permette al pensiero di librarsi alto sui problemi quotidiani e di avvicinarsi all’Essenza della vita stessa?
Chi, di fronte a tanta bellezza, non è stato assalito da atavici ricordi e non si è visto scorrere davanti agli occhi tutta la storia passata, le genti di razza e cultura diverse che transitarono per quei valichi, si scontrarono, fondarono villaggi, innalzarono monumenti ai loro dèi?
Da sempre l’uomo si è sentito annullare e nello stesso tempo elevare di fronte alle alte vette, tanto che queste costituirono per lui i primi altari, i primi templi naturali.
Presso tutti i popoli, le montagne furono considerate quali dimore delle varie divinità. In Cina è sulla cima di una montagna che gli dèi crearono la coppia originaria; in India furono divinizzati i monti Kailasa e Meru, dove si troverebbero, secondo la leggenda i meravigliosi palazzi di Indra, Siva, Visnù e Brahama; in Giappone sul mitico Fuji-Yama regna la dea SengenSama. Nell’antico Egitto si adorava una collina artificiale come
montagna originaria e tomba di Osiride, mentre nella Grecia classica la dimora degli dèi era sul monte Olimpo (e secondariamente su molte altre vette: il Parnaso, l’Ida, l’Athos, ecc.) e in Italia, come scritto nelle tavole Eugubine, fu il Vesuvio ad essere ritenuto sacro.
Questi naturalmente non sono che alcuni esempi, l’elenco in realtà potrebbe essere interminabile.
Anche nel nord dell’Italia, quando ancora le pianure piemontesi presentavano vaste maremme (residuo di un antichissimo mare interno che si ritirò poi verso l’Adriatico) e le popolazioni dei Celti, prima, e dei Liguri, poi (anche questi comunque di stirpe celtica), si stanziarono per le nostre valli, le montagne costituirono il primo naturale luogo di culto.
Su per le valli alpine o appennine comparvero in quel periodo (3000-2000 a.C.) le immagini simboliche di un dio di pietra che i Liguri chiamarono Penn o Pennin.
Questo, probabilmente già un rimaneggiamento di una divinità celtica autoctona preesistente, è ricordato pure da Tito Livio e veniva adorato sulle vette più alte in forma di uno scheggione di roccia più o meno lavorato o, talvolta, di un semplice ammassamento di pietre.
Il vocabolo Penn significa letteralmente cima, sommità, vertice (così come alp vuoi dire alto, spiccato); i romani ne latinizzarono il nome in Penninus e Servio e Catone ne parlano addirittura come di una divinità femminile: Pennina Dea.
Ancora oggi i nomi di molte montagne contengono la radice celtica da cui derivarono, basti pensare alle Alpi Pennine, agli Appennini stessi, ai monti Pennino, Penna, Penice, Pentema, e girovagando per i nostri monti è persino ancora possibile rinvenire alcune originarie raffigurazioni dell’antico dio.
Una di queste raffigurazioni abbiamo avuto modo di individuarla in provincia di Savona, sul rialto di un monte in Vai di Pia, nell’entroterra finalese, lungo l’antica via romana, la «Via Julia Augusta». E un masso che mostra, come si può ancora vedere nonostante il tempo lo abbia non poco consunto, chiare fattezze umane. Trovarglisi di fronte provoca, a chi «sente» il richiamo del passato, una strana sensazione, quasi che con il suo sguardo, eternamente puntato verso il nord, questa statua di roccia volesse indicarci qualcosa, forse un messaggio rivolto a noi dai suoi antichi artefici...Un altro strano macigno si trova nella valle del Tanaro, sul monte Grechiolo, nei pressi di Taro de’ Muti. La leggenda popolare ce lo tramanda come un antichissimo altare. Anche a Varazze, in località Salice, un monolito di forma approssimativamente cilindrica (alto metri 2,20 e con una circonferenza alla base di 4 metri) chiamato in dialetto la «munega», in quanto assomiglia ad una monaca avvolta nel suo mantello, potrebbe secondo noi annoverarsi tra le raffigurazioni di Penn. In Piemonte, nella valle Susa, presso Mompantero (che nei suo nome conserva forse un ricordo del dio dei Celti) troviamo la «roccia del diavolo», una enorme roccia scolpita che raffigura un uomo. Dal punto in cui è possibile vederlo pare, ad occhio nudo, di grandezza naturale di un uomo, con le mani sul petto, il ginocchio avanzato e avente sulla testa due raggi o corna. Alcuni ricercatori hanno avanzato in passato l’ipotesi che si tratti di Mercurio, altri invece pensano che sia una rappresentazione di Pane, ridente. Altri, infine, credono si tratti proprio del nostro Penn. Sul piccolo San Bernardo, poi, il simulacro di questo dio si innalza fin dalle più remote età: una grande colonna di gneiss, su cui, si dice, era posto un tempo un grosso carbonchio detto «occhio di Pennino», a riprova che in origine dovette essere un dio solare (così come in Egitto si rappresentava il Sole con l’«occhio di Osiride»).Vai la pena di ricordare a questo punto che sulla strada che conduce al colle, non molto lontano da La Thuile, sono ancora chiaramente visibili i resti di un cromlech, detto dal popolo «cerchio di Annibale», ma chiaramente risalente al periodo celtico (circa 4000 a.C.) formato originariamente da 46 pietre disposte lungo un’ellisse di asse maggiore di 84 metri e asse minore di 72 metri, distanti tra loro 3 metri.Questo monumento neolitico stava in stretto rapporto con la primitiva religione celtica che sintetizzava il culto per gli alberi, l’acqua e le pietre ed era probabilmente legato, così come la raffigurazione di Penn, a un culto di dèi solari. Ricordiamo, infine, che il Lago dei Gran San Bernardo era chiamato, dai romani, LacusPenus.Ci si potrà domandare per quale motivo la storia e la mitologia, nulla, o quasi nulla, ci hanno tramandato di questo antico dio. Ebbene i motivi sono molti. Innanzi tutto furono i romani che, una volta debellati i Salassi, incominciarono con il sostituire all’originale culto quello di Giove, detto Pennino, e con l’abbattere le rappresentazioni del dio celtico per rimpiazzarle con statue della loro nuova divinità.Quel poco che riuscì a salvarsi da questa prima distruzione venne definitivamente sepolto con l’avvento del cristianesimo, specialmente tra il VI e il IX secolo, quando Childeberto, Chilperico, Carlo Magno e altri sovrani ordinarono agli abitanti delle campagne, minacciando pene gravissime, di distruggere i simulacri di pietra, le pietre grezze, i dolmen e i menhir ai quali si volgeva qualche culto. Gli unici frammenti giunti sino a noi devono la loro fortuna o alla protezione del popolo, o all’inaccessibilità del luogo in cui si trovavano o, assai più spesso, perché si inventò su di essi una leggenda cristiana o vi venne incisa una croce sopra. A causa di questi vari momenti storici Penn scomparve come figura di divinità per rimanere, come abbiamo visto, come radice toponomastica e come mitico personaggio di un passato, ormai, per la quasi totalità dimenticato.
Da “ Gli Arcani”, novembre 1981, pagine 43-44
Le divinità montane - Immagini di pietra che risalgono a 3000 anni fa - Il «cerchio di
Annibale», un cromlech di circa 4000 anni - La scomparsa degli antichi dèi.
Chi recandosi in montagna non si è sentito affascinato dalla grandiosità dei paesaggi, dal silenzio profondo che permette al pensiero di librarsi alto sui problemi quotidiani e di avvicinarsi all’Essenza della vita stessa?
Chi, di fronte a tanta bellezza, non è stato assalito da atavici ricordi e non si è visto scorrere davanti agli occhi tutta la storia passata, le genti di razza e cultura diverse che transitarono per quei valichi, si scontrarono, fondarono villaggi, innalzarono monumenti ai loro dèi?
Da sempre l’uomo si è sentito annullare e nello stesso tempo elevare di fronte alle alte vette, tanto che queste costituirono per lui i primi altari, i primi templi naturali.
Presso tutti i popoli, le montagne furono considerate quali dimore delle varie divinità. In Cina è sulla cima di una montagna che gli dèi crearono la coppia originaria; in India furono divinizzati i monti Kailasa e Meru, dove si troverebbero, secondo la leggenda i meravigliosi palazzi di Indra, Siva, Visnù e Brahama; in Giappone sul mitico Fuji-Yama regna la dea SengenSama. Nell’antico Egitto si adorava una collina artificiale come
montagna originaria e tomba di Osiride, mentre nella Grecia classica la dimora degli dèi era sul monte Olimpo (e secondariamente su molte altre vette: il Parnaso, l’Ida, l’Athos, ecc.) e in Italia, come scritto nelle tavole Eugubine, fu il Vesuvio ad essere ritenuto sacro.
Questi naturalmente non sono che alcuni esempi, l’elenco in realtà potrebbe essere interminabile.
Anche nel nord dell’Italia, quando ancora le pianure piemontesi presentavano vaste maremme (residuo di un antichissimo mare interno che si ritirò poi verso l’Adriatico) e le popolazioni dei Celti, prima, e dei Liguri, poi (anche questi comunque di stirpe celtica), si stanziarono per le nostre valli, le montagne costituirono il primo naturale luogo di culto.
Su per le valli alpine o appennine comparvero in quel periodo (3000-2000 a.C.) le immagini simboliche di un dio di pietra che i Liguri chiamarono Penn o Pennin.
Questo, probabilmente già un rimaneggiamento di una divinità celtica autoctona preesistente, è ricordato pure da Tito Livio e veniva adorato sulle vette più alte in forma di uno scheggione di roccia più o meno lavorato o, talvolta, di un semplice ammassamento di pietre.
Il vocabolo Penn significa letteralmente cima, sommità, vertice (così come alp vuoi dire alto, spiccato); i romani ne latinizzarono il nome in Penninus e Servio e Catone ne parlano addirittura come di una divinità femminile: Pennina Dea.
Ancora oggi i nomi di molte montagne contengono la radice celtica da cui derivarono, basti pensare alle Alpi Pennine, agli Appennini stessi, ai monti Pennino, Penna, Penice, Pentema, e girovagando per i nostri monti è persino ancora possibile rinvenire alcune originarie raffigurazioni dell’antico dio.
Una di queste raffigurazioni abbiamo avuto modo di individuarla in provincia di Savona, sul rialto di un monte in Vai di Pia, nell’entroterra finalese, lungo l’antica via romana, la «Via Julia Augusta». E un masso che mostra, come si può ancora vedere nonostante il tempo lo abbia non poco consunto, chiare fattezze umane. Trovarglisi di fronte provoca, a chi «sente» il richiamo del passato, una strana sensazione, quasi che con il suo sguardo, eternamente puntato verso il nord, questa statua di roccia volesse indicarci qualcosa, forse un messaggio rivolto a noi dai suoi antichi artefici...Un altro strano macigno si trova nella valle del Tanaro, sul monte Grechiolo, nei pressi di Taro de’ Muti. La leggenda popolare ce lo tramanda come un antichissimo altare. Anche a Varazze, in località Salice, un monolito di forma approssimativamente cilindrica (alto metri 2,20 e con una circonferenza alla base di 4 metri) chiamato in dialetto la «munega», in quanto assomiglia ad una monaca avvolta nel suo mantello, potrebbe secondo noi annoverarsi tra le raffigurazioni di Penn. In Piemonte, nella valle Susa, presso Mompantero (che nei suo nome conserva forse un ricordo del dio dei Celti) troviamo la «roccia del diavolo», una enorme roccia scolpita che raffigura un uomo. Dal punto in cui è possibile vederlo pare, ad occhio nudo, di grandezza naturale di un uomo, con le mani sul petto, il ginocchio avanzato e avente sulla testa due raggi o corna. Alcuni ricercatori hanno avanzato in passato l’ipotesi che si tratti di Mercurio, altri invece pensano che sia una rappresentazione di Pane, ridente. Altri, infine, credono si tratti proprio del nostro Penn. Sul piccolo San Bernardo, poi, il simulacro di questo dio si innalza fin dalle più remote età: una grande colonna di gneiss, su cui, si dice, era posto un tempo un grosso carbonchio detto «occhio di Pennino», a riprova che in origine dovette essere un dio solare (così come in Egitto si rappresentava il Sole con l’«occhio di Osiride»).Vai la pena di ricordare a questo punto che sulla strada che conduce al colle, non molto lontano da La Thuile, sono ancora chiaramente visibili i resti di un cromlech, detto dal popolo «cerchio di Annibale», ma chiaramente risalente al periodo celtico (circa 4000 a.C.) formato originariamente da 46 pietre disposte lungo un’ellisse di asse maggiore di 84 metri e asse minore di 72 metri, distanti tra loro 3 metri.Questo monumento neolitico stava in stretto rapporto con la primitiva religione celtica che sintetizzava il culto per gli alberi, l’acqua e le pietre ed era probabilmente legato, così come la raffigurazione di Penn, a un culto di dèi solari. Ricordiamo, infine, che il Lago dei Gran San Bernardo era chiamato, dai romani, LacusPenus.Ci si potrà domandare per quale motivo la storia e la mitologia, nulla, o quasi nulla, ci hanno tramandato di questo antico dio. Ebbene i motivi sono molti. Innanzi tutto furono i romani che, una volta debellati i Salassi, incominciarono con il sostituire all’originale culto quello di Giove, detto Pennino, e con l’abbattere le rappresentazioni del dio celtico per rimpiazzarle con statue della loro nuova divinità.Quel poco che riuscì a salvarsi da questa prima distruzione venne definitivamente sepolto con l’avvento del cristianesimo, specialmente tra il VI e il IX secolo, quando Childeberto, Chilperico, Carlo Magno e altri sovrani ordinarono agli abitanti delle campagne, minacciando pene gravissime, di distruggere i simulacri di pietra, le pietre grezze, i dolmen e i menhir ai quali si volgeva qualche culto. Gli unici frammenti giunti sino a noi devono la loro fortuna o alla protezione del popolo, o all’inaccessibilità del luogo in cui si trovavano o, assai più spesso, perché si inventò su di essi una leggenda cristiana o vi venne incisa una croce sopra. A causa di questi vari momenti storici Penn scomparve come figura di divinità per rimanere, come abbiamo visto, come radice toponomastica e come mitico personaggio di un passato, ormai, per la quasi totalità dimenticato.
Da “ Gli Arcani”, novembre 1981, pagine 43-44