venerdì 25 aprile 2014
Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche
Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche
M. BETTINI, Il Mulino
«Se si parte dal principio che gli dèi sono molti viene meno il motivo per affermare che quelli degli altri sono falsi dèi o demoni… All’interno delle nostre società, l’adozione di alcuni quadri mentali propri del politeismo ridurrebbe senz’altro il tasso di conflittualità fra le diverse religioni monoteistiche e le loro interne suddivisioni»
Duemila anni di monoteismo ci hanno abituato a ritenere che Dio non possa essere se non unico, esclusivo, vero. Al contrario, il politeismo antico prevedeva la possibilità di far corrispondere fra loro dèi e dèe appartenenti a culture diverse (la greca Artemis alla romana Diana, l’egizia Isis alla greca Athena), ovvero di accogliere nel proprio pantheon divinità straniere. Questa disposizione all’apertura ha fatto sì che il mondo antico non abbia conosciuto quella violenza a carattere religioso che invece ha insanguinato, e spesso ancora insanguina, le culture monoteiste. È possibile attingere oggi alle risorse del politeismo per rendere più agevoli e sereni i rapporti fra le varie religioni?
«La traduzione delle divinità costituiva dunque una sorta di strumento a raggiera, un sestante utilizzato a trecentosessanta gradi per orientarsi all’interno dell’universo religioso altrui e per definire i rapporti che il “nostro” sistema religioso aveva con esso. E questo anche al di là dell’intensità dei rapporti economici, politici, commerciali, artistici e così via, attivi fra i popoli in questione. Il fatto è che, come vedremo meglio più avanti, la traduzione degli dèi e delle dèe costituiva non solo un punto di arrivo nei rapporti fra culture, ma anche un punto di partenza» (p. 53);